La storia assorina, anche per la posizione strategica, è segnata da numerose dominazioni: dopo greci, romani e cartaginesi, ha subito l’invasione normanna e contrastato quella musulmana. Il territorio di Assoro ha restituito preziosi reperti archeologici, come le testimonianze elleniche e romane rinvenute anche nelle campagne circostanti dove doveva sussistere una vasta curtis, un insieme di ville signorili utili all’otium ma anche alla gestione delle fertili terre della zona.
La panoramica piazza centrale insiste sul complesso dell’antica Abazia di Santa Chiara, fondata nel XV secolo da Virginia Valguarnera. Il centro storico, fedele all’impianto originario, si distingue per la sua architettura omogenea e gli edifici ben conservati. Tra questi spiccano il Palazzo della Signoria, edificato nel 1492 per volere dei nobili Valguarnera, con portali bugnati e balconi in pietra finemente lavorati, che si collega con un passaggio ad arco alla Basilica di San Leone, mirabile esempio di stile gotico arricchito da influenze arabe e catalane.
Tra i complessi di maggiore rilievo il Convento di Santa Maria degli Angeli, di recente oggetto di intervento e allestimento museografico con finalità espositive, culturali e ricettive. I temi del percorso museale, organizzato secondo una sequenza cronologica, si muovono dall’età contemporanea fino a quella antica e comprendono l’arte e i luoghi di Elio Romano – che ha restituito la suggestione della Valle di Morra attraversata da una via millenaria, un tempo costellata di santuari, via sacra che i pellegrini della Rocca di Cerere percorrevano per raggiungere e venerare il Santo di Agira – e la secolare tradizione delle zolfare assorine, con i nessi storico-letterari ad essa legati, la civiltà contadina dell’entroterra siculo, l’archeologia e il mito, come quello di Crisa, divinità fluviale che personifica l’antico fiume omonimo, l’odierno Dittaino, o di Cerere che, secondo alcune versioni del mito, proprio attraverso la contrada Morra si sarebbe spinta fino alle falde dell’Etna, regno degli inferi, in cerca della figlia rapita da Plutone.
Sulla strada moderna di arroccamento al Castello si apre una grotticella, probabilmente una tomba protostorica, trasformata in chiesa rupestre in periodo bizantino ed ancora oggi sentito luogo di devozione, sulle cui pareti si distinguono diversi cicli di affreschi, dedicata alla Madonna della Mercede.
Il Castello è posto sulla parte più alta della montagna e doveva avere un corpo centrale a pianta regolare del quale rimane visibile parte dell’apparato murario e la pianta con pochi filari. Le fortificazioni sono ricavate con un sapiente gioco architettonico tra i volumi scavati nella roccia e quelli costruiti con solide murature. Ancora visibili una grande cortina muraria conclusa da un torrione pieno a pianta circolare e una seconda munita di finestre che si affacciano sulla valle e un ambiente sotterraneo di passaggio.
Assoro si dimostrerà fortemente legato alle sorti dell’attività estrattiva, dal declino iniziato nel secondo dopoguerra, fino alla definitiva dismissione delle solfatare negli anni Novanta dello scorso secolo. Tuttavia, la presenza delle miniere disseminate sul territorio continua a rappresentare un elemento identitario di grande rilevanza, appartenente a un passato recente di cui non può essere persa la memoria.
Di tutto questo mondo oggi rimangono tangibili solamente i ruderi, ciò che rimane delle sale con i potenti argani che facevano salire e scendere le gabbie, trasportavano carrelli, minerali e minatori e le officine dove si lavorava sugli attrezzi, le chiesette con l’effige di Santa Barbara, le lampisterie, le cabine elettriche, i forni, le vasche di decantazione. Permangono sparsi castelletti in rovina, vistose strutture erette alla bocca dei pozzi profondi centinaia di metri per sorreggere le pulegge di rinvio delle funi e le tracce dei calcaroni, ampi forni di fusione in cui si separava lo zolfo rifinito dalle impurità e qua e là tracce della ferrovia, buie gallerie e caselli fatiscenti, superstiti segnali di un lento sistema di trazione a cremagliera per il trasporto dei minatori, abbonato da decenni. Ciò che invece inevitabilmente precipita nell’oblio è la dura, terribile esistenza di intere generazioni di uomini, le crude testimonianze di padri di famiglia che hanno dovuto lavorare nudi e inabissati al buio in fondo ai tunnel, con turni estenuanti alle dipendenze dei padroni, inondati da fumo che senza scampo portava gravi conseguenze alla salute. Lentamente è sbiadita la tenerezza che si leggeva nei visi dei carusi, piccoli schiavi carichi di gravosi sacchi di zolfo di circa il doppio del loro peso, maltrattati e affidati dalle stesse famiglie costrette dalla fame, dietro pagamento del cosiddetto soccorso o anticipo morto (da https://conventodegliangeli.it/il-paesaggio-minerario).
