Enna

Circondata dall’ocra dei Monti Erei, a quasi mille metri d’altezza, è situata su un terrazzo roccioso che domina l’alta valle del Dittaino. Centro geometrico della Sicilia, per evidenze archeologiche già abitata in insediamenti fortificati sicani e siculi, tra il VII e il VI secolo a.C. coloni greci si insediano nell’area identificata come Henna facendone riferimento agricolo e religioso legato al culto di Demetra e Kore.

Attorno alla Rocca, scavi tuttora in corso, stanno portando alla luce diverse fasi della storia della città a partire dalla sua ellenizzazione. La posizione strategica difensiva e panoramica nell’antichità la rende un obiettivo ambito: Siracusa la occupa due volte poi cade sotto il controllo dei cartaginesi, per essere liberata da Pirro nel 277 a.C. Nella Prima guerra punica si allea con i romani ma si ribella durante la successiva perdendo lo status di “città libera ed esente” e diventa il centro nevralgico della rivolta degli schiavi guidata da Euno subendo gravi devastazioni. Nell’859 gli arabi la strappano a Bisanzio ribattezzandola Qaṣr Yanī, da cui il nome storico di Castrogiovanni. La riconquista da parte di Ruggero d’Altavilla avviene solo nel 1087 diventando dimora privilegiata per gli svevi e gli aragonesi con lo suo status di città demaniale fin dall’epoca normanna. A partire dalla seconda metà del XVI secolo, la città con una solida impronta rurale prospera come centro agricolo e minerario con lo sfruttamento di giacimenti di zolfo e di sali di potassio, subendo nel corso del XVIII secolo un brusco calo demografico a causa del movimento di colonizzazione dei feudi e il popolamento delle aree dell’attuale provincia.

La cuspide orientale, parte dell’antica acropoli, è occupata dalla Rocca di Cerere, dove sorgeva il santuario delle divinità ctonie che ha reso noto il centro nel Mediterraneo antico. La cima in calcarenite, quasi completamente isolata dal resto del monte, coincide con un vigoroso masso roccioso ampiamente lavorato in periodo classico che doveva essere il nucleo del temenos sacro a Demetra e Kore. Salendo sul masso della monumentale scala originaria si gode una veduta panoramica che domina la gran parte dell’isola.
Per il visitatore di oggi la sommità della città turrita è condivisa con l’imponente castello regio detto di Lombardia, dalla cui spianata inizia l’arteria principale che attraversa il centro storico, l’antica Sharia, che si apre ai quartieri antichi conservati secondo una quasi inalterata planimetria araba con vicoli e cortili chiusi. Lasciando la città turrita la composizione urbana attuale comprende la città bassa e il Villaggio Pergusa, nodo della rete ecomuseale di SimGeo.

Posto sulle rive dell’omonimo lago, la frazione ennese di Pergusa nasce negli anni trenta del Novecento, in concomitanza con una forte azione di bonifica delle parti paludose del bacino lacustre, zone in cui era endemica la presenza di anofele portatrici di malaria, e la costruzione del quartiere governativo nella città alta. Infatti, una volta bonificato il Pergusa, il regime fascista ne colonizza le sponde con il trasferimento in casette rurali delle famiglie ennesi sottratte all’abitazione in grotte o costrette allo sfratto per l’apertura della odierna piazza Garibaldi, per la costruzione dei palazzi del Governo, INCIS e delle Corporazioni, organizzando il centro attiguo in stile littorio.

Geositi

Rocca di Cerere

Cima calcarenitica, che si sviluppa quasi indipendentemente dal corpo principale del monte, modellata nella sua parte sommitale già in epoca classica come sede del temenos sacro a Demetra e Kore. Su questa stessa roccia Cicerone, nella sua orazione contro il governatore Verre, menziona la presenza delle statue di Demetra e di Trittolemo, eroe greco legato al mito eleusino. Non si conosce con certezza l’esatta ubicazione dei templi ma è probabile che sorgessero nell’area attualmente occupata dal Castello di Lombardia. Dalla Rocca di Cerere, che gli ennesi chiamano tautologicamente Rocca d’Azeru (dal termine maghrebino azirhou, che indica una cima rocciosa), prende il nome l’Unesco Global Geopark, riconosciuto dal 2001 come parte della rete europea e globale volta a valorizzare il legame tra lo specifico patrimonio geologico e il più vasto patrimonio territoriale.

Riserva naturale speciale Lago di Pergusa

Conosciuto fin dalla remota antichità come dimostra l’etimologia probabilmente prearia del suo toponimo “Pergo”, il lago di origine tettonica è posto tra un gruppo di alture degli Erei che cingono quasi interamente la conca di forma subellittica che accoglie l’invaso. Il bacino imbrifero è endoreico, scorre cioè tutto verso il lago ed è privo sia di veri e propri immissari che di emissari. Le acque, che sono salmastre pur non avendo collegamenti con il mare, si raccolgono al centro della conca, ad un livello oscillante attorno i 670 metri sul livello del mare. Queste peculiarità rendono l’ambiente pergusino di estrema rilevanza naturalistica, quasi un unicum nel suo genere.
Il bacino conserva gran parte delle caratteristiche paesaggistiche naturali che ne hanno fatto un ambiente ricco sia in biodiversità che a livello simbolico per capacità evocativa. Secondo una stimolante ipotesi fu proprio l’apertura della voragine lacustre a suggerire all’uomo preistorico indigeno, di fronte a quella impressionante vicenda naturale, l’attribuzione del fenomeno alle divinità ctonie originando il mitema che si sarebbe trasformato nel ratto che Ade, re degli inferi, ordì contro Kore-Persefone, figlia di Demetra.
La datazione di questo sprofondamento è però a tutt’oggi incalcolabile per mancanza di studi sui sedimenti profondi del lago e sulla loro cronologia. Nell’autunno del 2001 una équipe di studio formata dalle Università di Catania e di Potsdam, coadiuvata da ricercatori ennesi, ha scavato un carotaggio di ben quaranta metri per approfondire la conoscenza della storia del lago e dei cambiamenti climatici degli ultimi millenni nel Mediterraneo.
Su una delle alture della conca, un villaggio preistorico oggi conosciuto come Cozzo Matrice, è risultato essere una sorta di cittadella sacra con tempietti per le offerte, ricche necropoli, edifici sacri ed una grotta naturale trasformata in un sacro ingresso agli inferi.
Il lago di Pergusa, unico lago naturale vero e proprio presente nella Sicilia centrale, per la sua posizione geografica e per il fatto di essere un’oasi umida in un paesaggio per lunghi mesi dominato dalla siccità, rappresenta un’area nevralgica nella corrente migratoria di molte specie di uccelli, situato lungo una delle principali rotte della regione paleartica occidentale. Il lago è l’habitat ideale per gli uccelli che compiono lunghe ore di volo ininterrotto sul mare da e verso l’Africa e durante la migrazione esso rappresenta un ottimo luogo di sosta per migliaia di uccelli acquatici, soprattutto anseriformi. Tra questi compaiono specie di altissimo valore e rarità come l’alzavola, il fischione, il mestolone, il moriglione, la folaga, il bello e raro falco di palude e la moretta tabaccata, specie di anatra rarissima. Il bacino è attualmente luogo di accertata nidificazione della coturnice sicula che nelle colline limitrofe trova le macchie dominate dalla ginestra. Nello stesso ambiente collinare vive la poiana che da il turno a vari rapaci notturni come la civetta, l’assiolo o il barbagianni, tutti ghiotti divoratori di piccoli roditori ed invertebrati. Oltre agli uccelli a Pergusa sono presenti anche mammiferi come l’istrice e la donnola, rettili quali le belle tartarughe palustri, o lo strano gongilo ed anfibi. Lo specchio lacustre è inoltre luogo di interessanti endemismi della microflora e della microfauna. Periodicamente il lago, per una sinergia tra alcuni degli organismi microscopici che in esso vivono, fa registrare un fenomeno unico al mondo: le sue acque si tingono di rosso sangue conferendo al paesaggio un aspetto di assoluta particolarità di cui è principale responsabile copepode (Arctodiaptomus salinus), un piccolo “gambero” che, per difendersi dai raggi del sole estivo, si tinge di un pigmento rosso e si insedia in foltissime colonie sotto le piante acquatiche. Il pigmento si trasferisce poi nell’acqua ai batteri che in essa vivono sino a trasformare lo specchio del lago in una sorta di vinaccia color mosto.
Attorno alle acque si stende una ampia fascia di vegetazione igrofila e ripariale, tipica delle lagune salmastre, composta da fasce concentriche dominate ora dal giunco, sia pungente che marittimo, ora dalla salicornia, o, ancora, dalla cannuccia di palude, che fa da confine tra il lago e le colline circostanti. I colli Erei che si specchiano nelle acque erano un tempo coperti da boschi, oggi sono in parte occupati da abitazioni di villeggiatura, dal borgo rurale omonimo e solo una porzione della conca è coperta dal rimboschimento della Selva Pergusina, gestita dalla Azienda Demaniale delle Foreste. Ivi la natura sta pian piano riappropriandosi del terreno perduto e tra le conifere e gli eucalipti piantati dall’uomo fanno capolino le querce che un tempo dovevano dominare la vegetazione erea, i lecci, le roverelle e la rara Quercus calliprinos. Questa amena parte di Sicilia, dal 1991, fa parte delle riserve naturali della Regione e dal 1995, con il nome di Riserva Naturale Speciale del Lago di Pergusa, è protetta da un’apposita legge che ha affidato la gestione del lago alla Provincia regionale di Enna. L’Ente gestore ha provveduto alla messa in atto delle prime misure di salvaguardia e di fruizione dell’ambiente naturale con la tabellazione e la creazione di sentieri e aree sosta per i visitatori, dotate di comode panchine ma anche di postazioni ginniche con attrezzi in legno grezzo per gli sportivi.

Riserva naturale orientata del Monte Capodarso e della Valle dell’Imera Meridionale

Affidata in gestione a Italia Nostra, questa riserva naturale orientata si estende su di un territorio circa mille e cinquecento ettari. Le grandi dimensioni della riserva, posta a cavallo tra la provincia di Enna e quella di Caltanissetta. Qui si trovano le gole di Capodarso ed una serie di magnifici ambienti naturali, non solo fluviali, che costituiscono un forte elemento di richiamo per gli amanti del turismo d’ambiente. Ampie gorene, con meandri e pozze di acqua salata, tale è l’acqua del fiume, sono habitat per diverse specie ornitiche sia di passo che stanziali, tra le quali le folaghe, le gallinelle d’acqua, diversi ardeidi, ma anche di rettili ed anfibi, mammiferi e centinaia di specie di invertebrati. Nei mesi primaverili ed estivi, non è raro incontrare la testuggine palustre (Emys orbicularis) che si nasconde tra la vegetazione acquatica per sorprendere le sue prede. La riserva, facilmente raggiungibile sia da Enna che da Caltanissetta, difende anche alcuni tra i maggiori siti della civiltà mineraria siciliana: la vallata, spettacolare con le due cime di Capodarso ad est e Sabucina a ovest, popolata sin dalla più remota antichità, ha scavato i depositi dell’altipiano gessoso solfifero sino a favorire la coltivazione di miniere di zolfo su ambedue le rive. Nacquero così la miniera di Trabonella e su quella ennese il complesso minerario di Giumentaro e Giumentarello. Con il crollo del mercato dello zolfo siciliano i due complessi minerari vennero abbandonati ed oggi sembra quasi che i lavoranti, i carusi di un tempo, siano fuggiti poche ore prima da chi sa quale minaccia, lasciando sul terreno i cumuli del materiale grezzo, gli utensili, i registri paga, le auto, i mezzi sotterranei. L’altura di Capodarso, magnifica con la sua lunghissima rocca calcarenitica di colore ambrato, spettacolare al tramonto, nasconde cavità carsiche inesplorate, delle quali un piccolo assaggio è dato da ciò che resta della “Grotta delle Meraviglie”. Inoltre i resti di un centro indigeno ellenizzato, che del monte occupava la cima e del quale rimangono in vista migliaia di cocci ceramici, un muro ad aggere ed una misteriosissima e scenografica scala che scende per alcuni gradini per poi proiettarsi nel vuoto della rocca che guarda a nord ovest. Nessuno ha sinora compreso il significato di questa scala, forse simbolico tragitto verso mondi sovrannaturali o luogo di supplizi, forse, ancora, via di fuga un tempo dotata di corde e scale a pioli.

Serre di Monte Cannarella

La dorsale dei Monti Bruchito (872 m s.l.m.) Cannarella (819 m s.l.m.), posta a sud dell’abitato di Enna, costituisce una monoclinale che si allunga per circa tre chilometri in senso est-ovest come parte dell’estesa dorsale gessoso-solfifera che da Cozzo Cuturo si spinge fino a Monte Capodarso, formata da gessi della successione evaporitica messiniana che poggiano in continuità di sedimentazione sul Tripoli. Il crinale è costituito dai due cicli della formazione dei gessi: quello inferiore dato da gesso balatino, il gesso primario microcristallino, a laminazione millimetrico – ritmica, dove si può distinguere l’alternanza annuale tra due tipi di lamine: chiare se dovute a precipitazione chimica, di natura gessosa, scure se relative ad apporti detritici, marnoso – argillosi, tipiche del periodo autunnale. Ai gessi balatini seguono le gessareniti. I gessi del ciclo superiore, ben visibili sul versante a franapoggio, sono costituiti da gesso spicchiolino geminato a coda di rondine e da argille gessose. Tra i due cicli vi è una differente giacitura, essendo molto più deformati i gessi del ciclo inferiore. A Portella Monaci, al tetto del Tripoli, sono presenti quattro banchi di gesso balatino spessi circa un metro separati da partimenti marnosi. Un banco di gessareniti, spesso circa otto metri, chiude la successione. I Gessi sono stati interessati da fenomeni plicativi anche molto intensi. Pieghe a piccolo raggio di curvatura sono presenti nel gesso balatino e nelle gessareniti. Si tratta di pieghe millimetriche molto strizzate a forma di “goccia”. Nel versante esposto a sud-ovest è visibile l’azione geomorfologica delle acque dilavanti sui terreni gessosi. Si rinvengono numerose sculture il cui colore grigio argento o bianco candido viene esaltato alla luce del sole. Queste forme erosive sono dovute alla dissoluzione delle rocce molto solubili da parte delle acque di scorrimento. Ben rappresentate sono le scannellature con profili trasversali ad U e creste aguzze. Esse sono, generalmente, larghe alcuni centimetri, profonde 1-2 cm e lunghe da pochi centimetri a qualche decimetro. Si riscontrano numerosi minicrateri dai contorni sub ellittici o poligonali e i profili parabolici. Sullo stesso versante operava una piccola miniera di zolfo come dimostrano gli accumuli di rosticci (discariche di miniera formate dalle scorie calcaree prodotte a seguito dell’estrazione dello zolfo) ammassati ad ovest di Portella Monaci.

Patrimonio archeologico

Cozzo Matrice

L’area archeologica, gestita dal Parco Archeologico di Morgantina e della Villa del Casale, occupa una delle alture formanti il bacino del lago di Pergusa e ospita le testimonianze di un grande centro indigeno ellenizzato che dall’età del rame vive sino alla età classica. Un vasto temenos sacro si apre su un paesaggio mozzafiato su gran parte dell’isola.

Via Sacra

Antica arteria attraversata in devozione alla dea Cerere per raggiungere l’area votiva posta alla sommità. Diodoro Siculo riferisce che i pellegrini giungessero da ogni angolo della Sicilia nella valle sottostante la Rocca, detta giardino di Enna. Risalendo il pendio si dovevano incontrare numerosi sacelli e altari. Gli affreschi della Grotta dei Santi e i resti delle mura di fortificazione testimoniano i tentativi di difesa bizantina contro la conquista araba. Gli arabi, a loro volta, lasciarono un sistema di canalizzazione delle acque per l’irrigazione dei campi poi modernizzato dai normanni con l’aggiunta di cisterne per la lavorazione del cuoio. La continuità dell’uso cultuale è testimoniata ancora da una piccola chiesa di epoca romana, di cui oggi rimangono solo le mura portanti, edificata su una precedente sala dei banchetti greca, utilizzata per i sacrifici animali alla dea Cerere. Nell’area circostante la chiesa si trovano anche edicole votive greche, dove un tempo erano collocate statuette in onore della dea delle messi.

Castello di Lombardia

Il Castello, di quasi tre ettari, è ancora coerente con quello voluto da Federico II di Svevia nel XIII secolo, costruito sopra i resti della antica acropoli e precedenti fortificazioni bizantine, arabe e normanne. Si suddivide in tre grandi cortili ed un rivellino, capaci di funzionare come castelli separati, muniti di diverse torri e ospitanti strutture atte alla presenza militare ma anche alla residenza della corte sveva. Il palatium svevo, danneggiato durante il regno di Manfredi, si legge oggi con maggiore difficoltà ed è stato in parte sostituito da una alta torre duecentesca, la cosiddetta Torre Pisana. Riferimento identitario cittadino, lo spazio è frequentato come ambiente ricreativo urbano e animato da eventi culturali e di spettacolo.

Torre ottagonale

Attorniata dall’omonimo parco urbano, si tratta di un edificio castellato medievale che si compone dei resti di un vasto recinto murario ottagono aperto da due porte arcuate al cui centro si eleva una grande torre, anch’essa ottagona, alta oggi oltre 25 metri dal piano di calpestio e svettante ben al di sopra dei tetti dei quartieri circostanti. Sebbene priva di certa attribuzione, la torre è fortemente caratterizzata da scelte architettoniche sveve che collocano la costruzione durante il regno di Federico II di Svevia.

Porta di Janniscuru

È l’unica porta cittadina con funzioni difensive superstite e visitabile. Con arco a tutto sesto modanato e, sebbene quasi del tutto scomparse, tracce di merlature sovrastanti, si ritiene facesse parte di un complesso sistema difensivo che includeva altre undici porte. Il nome, di origine araba, deriva dalla vicina fonte d’acqua, ancora oggi esistente, essenziale per le persone e gli animali che entravano in Enna da questo accesso. La porta è inserita in un contesto di grotte rupestri, un tempo utilizzate come abitazioni, luoghi di culto o sepolture. Molte di queste, tra cui la più nota è la Grotta della Spezieria, sono ora difficilmente accessibili ma si possono ancora scorgere sulle pareti rocciose della città.

Musei

Museo regionale interdisciplinare di Enna

Il Museo presenta le forme di vita sul territorio, dalla preistoria al medioevo, suggerendo il racconto dell’incontro di culture tra Sicani/Siculi e Greci in quel territorio che in seguito sarà definito umbilicus Siciliae per la funzione di snodo tra diverse parti dell’Isola. Le cose esposte consentono di vedere gli esiti dei primi contatti con le colonie calcidesi della costa orientale; i corredi funerari ricostruiscono l’ambiente sociale nel VI-V secolo a.C., con una classe di guerrieri imbevuti di cultura greca e donne locali di rango. Vediamo santuari in cui culti di tipo greco sono praticati anche da locali, come il santuario di Demeter Hennaia, che tanta importanza ha avuto per tutta l’antichità. L’allestimento arriva a comprendere il medioevo, quando Enna è sede di un importante castello.

Museo delle Confraternite

Il museo multisensoriale si trova nei locali dell’Urban Center e ha lo scopo di valorizzare e promuovere i riti e le tradizioni della Settimana Santa e delle confraternite ennesi attraverso cinque sale immersive allestite all’interno dell’ex convento dei Cappuccini.

Museo del Mito

Il progetto nasce per recuperare e valorizzare l’area archeologica della Rocca di Cerere e del Castello di Lombardia, promuovendo un modello innovativo di fruizione di beni e contenuti artistici, trasformando in codici nuovi e accessibili antiche fonti letterarie e iconografiche, grazie alla collaborazione tra storici, archeologi, architetti, docenti, ricercatori e guide naturalistiche.

Museo archeologico di Palazzo Varisano

Il museo archeologico ha sede presso il settecentesco Palazzo Varisano. L’esposizione, che adotta un criterio topografico articolando il percorso in base ai comprensori territoriali e ai contesti di provenienza dei reperti, documenta le sequenze culturali e insediative della provincia di Enna dalla preistoria al medioevo (ad eccezione di Aidone e Piazza Armerina che dispongono di musei propri). Le collezioni derivano da attività di scavo condotte dalla Soprintendenza, da acquisizioni tramite donazioni private e trasferimenti di materiali provenienti dai musei archeologici di Siracusa e Agrigento. L’edificio riveste inoltre interesse storico per essere stato il luogo in cui il 13 agosto 1863 Giuseppe Garibaldi pronunciò il celebre discorso concluso con la frase …o Roma o morte.

Prodotti e saperi della terra

Grano

Il grano, con le 52 tipologie autoctone selezionate, rappresenta un patrimonio genetico di straordinaria importanza per la tutela della biodiversità e il fondamento della cultura produttiva e alimentare locale.
Tra queste il Grano Timilia o Tumminìa: grano duro antico, conosciuto almeno dal medioevo e coltivato lungo le vallate dei fiumi siciliani, soprattutto lungo l’Imera meridionale, anche in condizioni di bassissimo apporto idrico con un ottimo contenuto proteico e una farina bianca che si impasta con piccole quantità di acqua consentendo una facile panificazione e la realizzazione di eccellenti paste alimentari. Oppure il Grano tenero Maiorca con una spiga quadrangolare e priva di arista, da cui si ricava una farina tradizionalmente alla base di preparazioni di pani ma soprattutto di dolci. Abbandonato per l’avvento di varietà moderne a causa della sua bassa produttività per ettaro, oggi è stato riscoperto e viene coltivato in biologico da un certo numero di aziende dell’area del Rocca di Cerere Geopark soprattutto per soddisfare le richieste dei pasticcieri più tradizionalisti. In particolare la farina di Maiorca era l’unica ad essere utilizzata per la realizzazione delle ostie e, nei monasteri, veniva mischiata sapientemente alle mandorle lavorate per la creazione della Pasta Reale o Martorana.

Pane del Dittaino

Tra le numerose varianti esito della reiterata frequentazione con l’arte bianca, è un prodotto DOP conosciuto anche come pagnotta del Dittaino o pandittaino, fatto con semola di grano duro rimacinata da varietà coltivate nell’area attraversata dal fiume Dittaino, culla di una cultura del grano e del pane radicata da secoli di storia.

Formaggi ovini

La pastorizia ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo economico della zona e le sue origini sono così antiche da confondersi con il mito. Nell’area del Rocca di Cerere Geopark, è diffusa la presenza di pecore in grandi greggi, accompagnate sempre dai cani pastore delle due razze siciliane selezionate per questo scopo, il Pastore siciliano o Cane di mannara e lo Spino degli Iblei. Pecore di diverse razze, tutte selezionate per sopravvivere nei pascoli dell’entroterra, estremamente biodiversi ma in estate capaci di somigliare ad una steppa continentale. Almeno dall’età del rame, se non già dal neolitico, il latte prodotto in quest’area è stato utilizzato dai primi pastori per essere trasformato nel formaggio, inizialmente semplicemente latte “quagliato” naturalmente, inacidito e rappreso, poi con sempre più fine sapienza fatto coagulare mediante l’intervento umano con il caglio naturale. Nella varietà di formaggi, freschi e stagionati, che si ricavano dal latte ovino rientrano la tuma, primo stadio della maturazione, fresca, morbida eppure già ben compatta; i pezzi in prima salatura o bianchi o conditi con mandorle anch’esse del territorio; il formaggio allo zafferano, giallo nella polpa e saporito dal sale delle evaporiti e dalla pregiata spezia; le ricotte, ottenute con la seconda lavorazione del siero e lavorate o in bianco o con lo zafferano, da consumarsi fresche, anche nella preparazione di dolci, da far stagionare con il sale o da infornare.

Olio Evo

L’ olivo Olea europaea giunge in Sicilia durante l’età del bronzo, se ne ha prova attraverso lo studio dei pollini fossili nei depositi lacustri del lago di Pergusa, che ha rivelato una presenza della specie in grandi contingenti di quelle età. Probabilmente coltivato per la produzione di olio lampante, primo combustibile per l’illuminazione delle abitazioni protostoriche, venne comunque da subito riconosciuto come valido alimento e supporto alla conservazione dei cibi. Legato alla luce e simbolo di forza resiliente, l’albero ha segnato da allora il paesaggio delle colline dell’interno siciliano e proprio qui secondo gli studi del CNR ha trovato il suo territorio climax. Oggi nel bacino del Pergusa si trova la più grande e cospicua collezione di cultivar olivicoli con esemplari provenienti da tutte le aree olivete del mondo.

Zafferano

La spezia ottenuta dagli stigmi del fiore di Crocus sativus, coltivata da sempre e certamente presente ab antiquo sui suoli dell’area messiniana, rappresenta una eccellenza ma anche una produzione difficile. Oggi la sua coltivazione è in ripresa e consente di mantenerne l’uso per le diverse preparazioni casearie e gastronomiche che lo vedono protagonista. Di probabile origine egea e microasiatica la specie è una selezione dell’uomo, non esiste in natura come C. sativus e non può crescere e diffondersi senza il sapiente intervento del contadino. Contiene almeno 150 composti chimici diversi tra i quali i carotenoidi che consentono agli stigmi seccati di trasferire il loro colore giallo ai cibi e ama i suoli calcarei ed argillosi trovando facile attecchimento nei campi delle vallate del Dittaino e dei suoi piccoli affluenti.

Mandorla

Coltivazione arborea capace di affrontare le calde e secche estati dell’entroterra, il mandorlo, Prunus dulcis, è coltivato nell’area gessoso-solfifera non di rado a rotazione con la coltivazione di cereali, leguminose e pabulari. Il suo frutto è alla base della lunga tradizione dolciaria siciliana e prima dell’avvento del cacao l’uso della pasta di mandorle ha consentito ai maestri pasticcieri, ai “monsù” dell’isola ed anche alle monache dei conventi siciliani di inventarsi scultori del dolce come nelle miniature della Pasta Martorana o Pasta reale. Le varietà locali, la pizzuta o la piaciattutti sono oggi nuovamente riprese nell’area Geopark da agricoltori attenti e tenaci.

Frascatula

Detta anche polenta siciliana è inserita nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della regione Sicilia (PAT) e viene fatta risalire alla dominazione romana, quando già si usava cuocere la farina di grano e di altri cereali, nonché di legumi, insieme a verdure, per preparare una sorta di minestra chiamata puls (da qui il termine “polenta”). A Enna è una polenta realizzata con farina mista di semola e di cicerchia. La stessa potrà prevedere verdure di stagione e pancetta, divenendo un piatto unico tipicamente invernale.

Buccellati di Enna

Il nome buccellato deriva dal latino buccellatum, che indica la caratteristica di un pane che si potrà mangiare dividendolo in buccelli, ovvero in bocconi. Con questo nome vengono chiamati diversi dolci, più o meno complessi, tutti accomunati da un uso invernale, e precisamente natalizio, e tutti caratterizzati da un ripieno con frutta secca e fichi. Quello ennese tipico è una sfoglia realizzata in pasta frolla, chiuso a due valve e ripieno o con un composto di fichi secchi variamente aromatizzati e conditi o con una pasta a base di mandorle.

Mustazzola

Il nome deriva dal latino mustace, alloro, in quanto si usava preparare per le nozze e per le feste una focaccia dolce racchiusa in foglie di alloro e poi infornata. Nella tradizione ennese i mustazzola o mastazzola sono biscotti con un preparato di miele, non lievitati e, pertanto duri e gommosi, consumati prevalentemente in occasione delle lunghe festività padronali.

Ascaretto

Gelato artigianale con copertura di cioccolato e un cuore di pan di Spagna imbevuto nell’alkermes e frutta candita, a volte con ripieno di zabaione.

Feste e tradizioni

La Settimana Santa

Complesso ciclo di celebrazioni religiose di origine tardo-medievale, profondamente influenzate dalla tradizione spagnola, che si svolge annualmente nel periodo pasquale. Questo insieme di riti rappresenta il principale evento religioso e culturale della città e una delle manifestazioni più significative della Settimana Santa in Sicilia. Le celebrazioni attirano ogni anno migliaia di fedeli e visitatori, trasformando il centro storico in un teatro rituale di intensa partecipazione collettiva. Per il valore culturale e devozionale, il ciclo rituale della Settimana Santa ennese è stato riconosciuto dalla Regione Siciliana come manifestazione a richiamo turistico internazionale e inserito nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia.
Il momento culminante si svolge il Venerdì Santo, con una solenne e imponente processione a cui prendono parte circa 3.000 confrati appartenenti alle numerose confraternite storiche della città. Le prime confraternite ennesi risalgono al basso medioevo e registrano nel XVII un notevolissimo incremento con ogni probabilità dall’avvento dell’influsso spagnolo sulla base delle confradias iberiche, esercitando un ruolo sociale assai significativo.
I partecipanti sfilano in abito tradizionale con il volto coperto da cappucci, portando a spalla i fercoli del Cristo morto e della Madonna Addolorata. La processione è accompagnata dalle marce funebri eseguite dal corpo bandistico cittadino su composizioni originali, che amplificano il senso di lutto e raccoglimento spirituale.
Le manifestazioni della Settimana Santa ennese si concludono la Domenica di Pasqua con la Paci, a cui segue la Spartenza nel giorno dell’ottava. In occasione della prima nella piazza del Duomo si incontrano i simulacri della Vergine Maria, che si libera del velo nero, e del Cristo Risorto, portati dai confrati con veloce andatura ed a passi cadenzati all’interno del Duomo dove resteranno fino alla domenica in Albis.

Festa della Madonna della Visitazione

Nella prima metà del XIV secolo a.C., il culto pagano della dea Cerere fu progressivamente sostituito nella città di Enna dalla festa cristiana dedicata a Maria Santissima della Visitazione. Tale processo di sincretismo culturale ha mantenuto alcune forme rituali originarie, rielaborandole in chiave cristiana: emblematico è il caso degli antichi sacerdoti cerimoniali di Cerere, riplasmati nella “Grande Compagnia degli Ignudi”, confratelli che tuttora partecipano attivamente al rito processionale. La statua della Madonna, oggi impreziosita da ex voto in oro donati dai fedeli, è portata a spalla su un maestoso fercolo noto come Nave d’Oro durante la processione che attraversa la città alta il 2 luglio, mentre la seconda domenica dello stesso mese il corteo di rientro detto Madonna a’ Muntata, conduce nuovamente il simulacro in Duomo, portato a spalla dalla Confraternita della Visitazione. In occasione della festa si preparano in casa i viscotta o vastedda da Madonna, spesso offerti come ex-voto o donati durante i festeggiamenti.

Festa del SS. Crocifisso di Papardura

La festa del Santissimo Crocifisso di Papardura si svolge annualmente il 13 e 14 settembre nel suggestivo scenario naturale del santuario ennese che sorge su un’altura rocciosa. Il culto ha origini molto antiche, riconducibili ai primi secoli del cristianesimo quando pastori e contadini si riunivano in grotte naturali per pregare in forma comunitaria. Nel 1696 fu edificato l’attuale santuario che ingloba la grotta originaria con l’immagine del Crocifisso. Un episodio particolarmente rilevante nella costruzione dell’identità devozionale è legato a una grave carestia che colpì la città nel 1742 quando la popolazione, in segno di penitenza, si recò in processione scalza al santuario, implorando la fine della crisi alimentare. La leggenda narra che, in seguito a questo atto collettivo di fede, il raccolto fu abbondante, superando la capacità dei depositi locali. La festa è attualmente organizzata dalla storica congrega dei Massari, con la collaborazione delle famiglie devote e dei fedeli.

Il Centro del Geoparco è un punto di riferimento aperto al pubblico, dove il territorio si racconta attraverso la cultura materiale: luoghi, oggetti e memorie che testimoniano il legame profondo tra le comunità e i paesaggi.

Visitor center Pergusa

Posto lungo l’asse della SS.561, in corrispondenza del tratto in cui la stessa si trasforma nel Viale dei Miti della borgata del Villaggio Pergusa, il Visitor è ospitato in un giardino pubblico di circa 3000 mq, perfettamente attrezzato con giochi, panche, tavoli e attrezzature sportive. La gestione della struttura, affidata al Geopark, è demandata al Centro di Educazione Ambientale Alexander Von Humboldt della Legambiente, che, ivi, ha anche realizzato una Ciclofficina Sociale dotata di mezzi a tradizionali ed a pedalata assistita.
Il Visitor è anche dotato di attrezzature mirate alla didattica quali pannelli esplicativi dei patrimoni del Geopark, giochi dedicati, una piccola biblioteca ed attrezzature di ricerca e studio.
In esso, soprattutto durante la stagione estiva, vengono realizzati percorsi dedicati all’infanzia con campi solari, orti per bambini, passeggiate di conoscenza ma anche attività di yoga, surviving, ginnastica dolce, per adulti e bambini. Il Visitor è anche punto centrale della rete dell’offerta turistica del Geopark.

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