Leonforte

Il territorio di Leonforte è intimamente legato alla strategica posizione che occupa nella regione sorgentifera del Dittaino. Sul declivio di una diramazione nordorientale degli Erei, poco oltre i 600 metri sul livello del mare, sorge il nucleo urbano, come a vigilare su questa indispensabile risorsa idrica. La città rurale fondata nel 1610 con licenzia populandi a Nicolò Placido Branciforti da eseguire sul feudo di Tavi, è da subito caratterizzata da una notevole crescita demografica, indubbiamente legata alla disponibilità di risorse naturali, tra cui l’acqua del Dittaino, che sgorgando dalle pendici del Cernigliere si riversa lungo la vallata del Crisa favorendo lo sviluppo dell’agricoltura, con la coltivazione di cereali, viti e ulivi.

Del precedente abitato di Tâbis (Tavi) il geografo arabo Muhammad Al Idrisi nel 1154 osserva un “bel castello ed elevato fortilizio, con terre da seminare e acque. Dal suo territorio nasce il Dittaino, e corre al levante finché non si scarica il Simeto a poca distanza dal mare”. Tavi probabilmente sorgeva dove oggi si snoda la parte più antica, il quartiere che ospita la Granfonte (1652), monumentale macchina idraulica con un edificio a parete di gusto barocco romano. L’acqua sgorga da ventiquattro cannoni giungendo nella vasca abbeveratoio sottostante, da questa verso il retro della fontana e da lì oltre le mura dove alimentava i lavatoi e ancora oltre la filanda, i mulini e le saje in terra battuta dei fecondi campi irrigui allora coltivati a cotone, canapa, lino, riso. La forma è quella di una estesa ed alta quinta muraria, cesellata da nicchie ad arco che guardano verso la vallata sottostante aprendo all’evocativo paesaggio rurale e lasciando fare il resto alla luce, resa potente dal vasto orizzonte, vera protagonista della scena con riflessi abbaglianti di giorno, che raggiungono la massima espressione al tramonto. Nel vasto progetto celebrativo dell’acqua, la prima fontana monumentale voluta dal principe Branciforti è però quella delle Ninfe, divinità acquatiche della mitologia classica custodi di fonti e sorgenti e si presenta come un elegante arco trionfale celebrativo della nascita del Crisa, nume tutelare dei luoghi.

Il raffinato ordito urbano di Leonforte rivela come la fondazione, pur inscrivendosi nella politica economica del Regnum Siciliae volta ad incrementare la produzione di beni agricoli, in particolare di grano, per soddisfare la domanda crescente, sia esito della potente suggestione esercitata sul principe dalla fastosità dei luoghi, così da volerne fare una prestigiosa corte feudale attorno alla splendida dimora di palazzo Branciforti, eretta su un bastione che domina sulla vallata del Crisa Dittaino e su quello che doveva essere il primo centro medievale del casale di Tavi. Il tessuto urbano regolare disegna la forma antropocentrica di un uomo disteso, la cui testa corrisponde con i propri emisferi alle sedi dei due poteri, quello spirituale, il Duomo di San Giovanni, e quello temporale, il palazzo feudale. La piazza centrale, oggi piazza Margherita, rappresenta le viscere metabolizzanti, rette sulle gambe, la forza lavoro dei suoi coloni, disposte a cavallo dello slargo che un tempo si apriva lì dove oggi viene identificato u chianu de pipituna, probabilmente una corruzione dello spagnolo Llano de los pedones. Ai piedi della bastionata del palazzo, rimane un quartiere a tessuto medievale, contorto ed attraversato dalla strada reggia Enna Catania che qui incontra le sorgenti del Crisa Dittaino.

La Mappa di Comunità racconta il territorio attraverso lo sguardo di chi lo vive: un patrimonio condiviso di memorie, luoghi e saperi che rafforza il legame tra cultura e identità locale.

Geositi

Riserva Naturale Orientata Monte Altesina

Nel cuore dei Monti Erei, il Monte Altesina si chiamava in antico Mons Aereus (monte aereo), probabilmente per via della sua forma svettante che lo innalza dal fondovalle con una forma puntuta visibile e riconoscibile da gran parte della Sicilia centrale. Per la forma facilmente traguardabile, oltre alla sua posizione centrale, fu scelto dagli arabi quale punto trigonometrico principale in Sicilia, facendone dipartire da esso i “tre Valli” (Val Demone, Val di Noto e Val di Mazara), le tre regioni amministrative che dividevano la Sicilia in età emirale e che rimasero tali sino alla decadenza del feudalesimo nel XIX secolo. Formatosi nel periodo del Miocene inferiore, sulla cima, almeno dall’età del bronzo, si stanziano popolazioni indigene dedite alla pastorizia e protette dall’acclività dei versanti. Qui, tra le guglie rocciose erose dagli agenti atmosferici e lavorate dall’uomo, le ricerche archeologiche hanno portato alla luce le strutture di un abitato a più riprese utilizzato sino al medioevo. Tra i ruderi compaiono case, cisterne, grotte artificiali a probabile uso culturale. Più in basso, sui versanti del monte coperti dalla fitta foresta a quercine, compaiono diverse sepolture a grotticella artificiale scavate nelle emergenze di quarzarenite. I versanti della montagna, gestiti oggi dall’Azienda demaniale delle foreste, sono quasi interamente ricoperti da una fitta foresta di latifoglie composta essenzialmente da lecci, qui in trasgressione, posti cioè al di sopra della linea altimetrica che in genere ne limita la espansione, ad essi si alterna la roverella, quercia anch’essa ma spogliante, e nel sottobosco il pungitopo, l’edera, il ciclamino, la Dafne l’aureola, e cisti, l’ipocisto, i rovi e lo stracciabraghe. Le radure, utilizzate per l’alpeggio delle mandrie, sono inverdite da ferle, erba medica, asfodeli bianchi e gialli. Fanno parte della fauna il picchio rosso maggiore, alcuni rapaci diurni come la poiana e lo sparviero, e rapaci notturni, barbagianni, allocco, assiolo. Frequente è la volpe e più volte è stato segnalato il gatto selvatico.

Lave di contrada Vignale

Sui fianchi meridionali di Monte Altesina, in contrada Vignale, affiorano dei sill diabasici. Si tratta dei terreni più antichi presenti nel territorio del Geopark e la loro messa in posto è da ricondurre alla fase orogenetica che ha determinato la strutturazione del Monte Altesina, la cima più alta degli Erei (1192 m s.l.m.) avvenuta tra il Serravalliano e il Tortoniano inferiore. Il sill o diabase (dal greco roccia che sale attraverso le altre rocce) è una roccia magmatica ipoabissale dall’aspetto massiccio, colore nero verdastro, tipica dei contesti in ambiente oceanico. In contrada Vignale la roccia vulcanica, avente spessore che raggiunge i 25 m e i caratteri tipici del basalto oceanico, affiora incassata in rocce sedimentarie triassiche.

Lago Nicoletti

Lago artificiale nato a seguito della costruzione della diga omonima negli anni Settanta del secolo scorso sul fiume Dittaino, è circondato da una ricca vegetazione, campi coltivati a frumento e fava, colture arboree tra cui l’olivo, il mandorlo, l’arancio e il pesco, oltre che da pascoli. Sede stagionale di numerosi uccelli migratori che sostano nelle acque del lago in alcuni periodi dell’anno, consente l’attività di pesca sportiva e la pratica di sport acquatici nella struttura attrezzata.

Patrimonio archeologico

Castellaccio di Tavi

Del castello rimangono solo una notevole cinta muraria che a tratti si confonde con la linea naturale delle rocce su cui il castello è ubicato, due grandi cisterne scavate nella pietra e un locale dalle medie dimensioni con una volta a botte lunettata. È situato sul pizzo Castellaccio sulla sponda destra del ramo superiore del fiume Dittaino (torrente Crisa). Con la fondazione di Leonforte, andrà incontro all’abbandono cedendo le sue prerogative al palazzo Branciforti edificato in città.

Castellaccio di Guzzetta

Il Castello di Guzzetta (o Bozzetta), di cui oggi restano solo pochi ruderi murari, si erge su un’impervia rocca poco accessibile, oltre le rovine del Castello di Tavi e l’attuale abitato di Leonforte, un tempo cruciale caposaldo feudale per il controllo delle vie d’accesso all’entroterra siciliano. La prima menzione documentata del castello risale al 1326, sebbene la sua edificazione possa essere antecedente, data la citazione di un feudo di Guzzetta già nel 1296. La sua costruzione è quindi presumibilmente collocabile intorno al XIII secolo, in assenza di prove che attestino una sua origine normanna. Nel corso dei secoli, sia il castello che il feudo furono posseduti da famiglie feudatarie tra cui i Valguarnera, ultimi proprietari fino all’abolizione della feudalità. L’abbandono del castello iniziò probabilmente intorno al 1610, data in cui fu richiesta la Licentia populandi per la fondazione di Leonforte, evento che portò al progressivo spopolamento dei borghi vicini, incluso Tavi. Attualmente, i resti murari del castello sono di difficile leggibilità a causa della vegetazione che ricopre la cima della rocca. L’unico frammento chiaramente visibile è parte di un bastione esterno con una stretta feritoia, che rivela come la fortificazione fosse stata costruita adattandosi perfettamente alle irregolarità del terreno, conferendole una pianta irregolare.
Il sito è geologicamente rilevante per la presenza di guglie quarzarenitiche. Il paesaggio è dunque interessato dall’emergere del Flysh Numidico, una formazione terrigena di età Burdigaliana caratterizzata dall’alternarsi di potenti banchi di argille con lenti di quarzareniti create dalle antiche correnti di torbida. Questa particolare condizione consente l’accumulo nelle lenti di quarzarenite di grandi quantitativi di acqua che sgorga poi i punti di contatto tra la roccia serbatoio e le argille. Sono queste le sorgenti del Crisa Dittaino, in questa vallata motivo fondante della lunga antropizzazione.

Prodotti e saperi della terra

Pesca di Leonforte

La pesca tardiva “di Leonforte IGP”, denominata anche “settembrina”, viene coltivata nel rispetto di una secolare tradizione fatta di incroci naturali tra varietà tardive locali esclusive del territorio ennese. La peculiarità che la contraddistingue è la pratica dell’insacchettamento dei singoli frutti, ancora sull’albero, a partire dalla seconda metà di giugno per proteggerli da ogni possibile attacco esterno fino al momento della raccolta a fine settembre.

Fava larga

Legume antico, un tempo coltura ubiquitaria nella regione seminata in rotazione con il frumento per la capacità di arricchire il terreno di azoto e per essere ingrediente fondamentale nella cucina regionale e leonfortese come per il maccu di fave, dalla consistenza cremosa ottenuta dalla cottura prolungata delle fave secche sgusciate. Ancora oggi, la sua coltivazione avviene completamente a mano. Tra novembre e dicembre si preparano i solchi, si depositano i semi a gruppi (a postarella) e si ricoprono. Seguono la sarchiatura per eliminare le erbe spontanee e la rincalzatura del terreno attorno alle piante in crescita. Quando iniziano ad avvizzire vengono falciate, essiccate in piccoli covoni (manate di favi) e battute nell’aia (un tempo calpestate dagli animali). La separazione del seme dalla furba (residui di foglie e fusti) avviene gettando il tutto in aria con un tridente nelle giornate di leggera brezza. A fine marzo, verdi e appena raccolte sono spesso condite con sale e cipollette e accompagnate da pecorino (favaiana e cipuddetti), oppure utilizzate nella tradizionale frittedda, soffritte in olio extravergine con pancetta e cipolle e cotte lentamente. Storicamente, le fave più piccole erano destinate al foraggio animale mentre quelle più grandi venivano vendute, causando nel tempo una progressiva riduzione dei campi e portando la fava larga a rischio di estinzione.

Lenticchia nera

Antica leguminosa tipica del territorio leonfortese nel recente passato a rischio di estinzione per la drastica riduzione delle colture. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso molto diffusa e apprezzata, è stata soppiantata dall’introduzione di altre varietà più resistenti alle intemperie, capaci di rese maggiori e adatte alla coltivazione meccanizzata. Oggi, pochi e intraprendenti agricoltori di Leonforte hanno ripreso la sua coltivazione eseguendo manualmente le operazioni relative ad ogni fase della crescita della pianta, dalla semina alla raccolta, a causa dello stelo molto corto e strisciante, quasi a contatto con il terreno, che impedisce il ricorso a macchinari. Anche le successive operazioni di selezione sono necessariamente svolte a mano. Il prodotto, riconoscibile per il suo colore distintivo e il sapore intenso, vanta esclusive caratteristiche organolettiche, una maggiore percentuale di proteine e fibre e un contenuto inferiore di grassi rispetto alle lenticchie comuni.

Feste e tradizioni

Tavolate di San Giuseppe

Tra le diverse declinazioni che assume la medesima pratica incentrata sull’allestimento di tavolate ricolme di pietanze e di pani precedentemente oggetto di una lunga preparazione comunitaria, a Leonforte la tradizione devozionale assume l’ulteriore accezione del cùnzulu (banchetto funerario) offerto a Maria per la morte dello sposo, come massima espressione di quella temporalità circolare che ha dominato il passato rurale: nel momento di estrema penuria alimentare, quando sono esaurite le provviste per l’inverno, l’offerta rituale auspica e prefigura la futura ricchezza celebrando l’abbondanza. Si impone la relazione con la primavera e la germinazione delle messi e l’esigenza di affidare questa circostanza critica alla provvidenza. Tradizionalmente davanti agli altari imbanditi i confrati eseguono i canti polivocali caratteristici della Settimana Santa, la comunità dunque mette in atto nei passaggi di soglia i propri meccanismi di difesa e lo fa attraverso il cibo come garanzia di continuità di vita. La persistenza di queste pratiche si conferma nell’attualità legata a recuperi in chiave identitaria e turistico patrimoniale. Può succedere allora che si partecipi al traficu, cioè alle diverse e complesse fasi della preparazione corale delle pietanze, anche senza appartenere alla comunità locale ma come occasione per imparare a conoscere erbe spontanee primaverili raccolte in questa circostanza, apprendere determinate ricette, entrare a far parte di un rituale condiviso.

A Ramaliva, Domenica delle Palme

Sacra rappresentazione, già attestata nell’Ottocento, che apriva i riti della Settimana Santa. La manifestazione prendeva il via il sabato precedente la Domenica delle Palme, con l’allestimento di un atrio di rami d’ulivo e palme e una luminaria nello spiano antistante la chiesetta della “Crucidda”, vicino alla Granfonte. La sera del sabato, un pellegrinaggio dalla Chiesa di S. Stefano alla Crucidda, accompagnato dal “canto del lamento” culminava con l’accensione della luminaria e una veglia fino a tarda notte. La domenica pomeriggio, si svolgeva un dramma sacro che coinvolgeva figuranti e bambini rievocando il passo evangelico e utilizzando come una quarta teatrale la Granfonte e il Giardino delle Ninfe. La sacra rappresentazione si è interrotta nel 2021 mentre il pellegrinaggio del sabato da Santo Stefano alla Crucidda continua tutt’ora.

Processione del Venerdì Santo

La processione de u mulimentu (il sepolcro glorioso o l’Urna) del Venerdì Santo è la celebrazione più sentita e coinvolgente della Settimana Santa leonfortese. Risalente al 1650, segue un percorso lungo e tortuoso di oltre sette chilometri, toccando tutte le tredici chiese locali. Molti fedeli partecipano a piedi nudi per voto e un’atmosfera di intensa commozione è generata dalla presenza della banda musicale che esegue la marcia funebre Ione e soprattutto dall’esecuzione del lamento: i cantori del lamento leonfortese (u lamientu), da secoli durante la settimana di passione intonano una melodia polivocale ad accordo.
Il lamento, le cui origini sono ignote, è appreso per trasmissione orale e un tempo si intonava durante il lavoro in campagna, lungo la strada per raggiungerla o al ritorno a casa. Prima della Quaresima, i gruppi di lamentatori, chiamati “le squadre”, si riunivano per prepararsi ai riti pasquali e permettere ai nuovi, spesso appartenenti alla stessa famiglia, di acquisire la conoscenza dei versi dei solisti, intercettandoli dalle ripetizioni ad alta voce dei custodi del canto, uomini e donne.
Una squadra di lamentatori è composta da otto a dieci persone con la prima voce che narra gli eventi; la seconda voce che riprende l’ultima parola del verso precedente e conferisce al canto il “pathos”, con una tonalità più gridata; il coro che crea un’atmosfera cupa emettendo una “o” profonda e malinconica (turda). La postura dei cantori si distingue per rivolgere gli occhi rivolti al cielo e tenere le mani all’orecchio, al petto o incrociate, per trovare la giusta tonalità.
Dal 2007 con l’aiuto degli ultimi cantori alcuni giovani hanno ripreso l’apprendimento. Il lamento accompagna dunque le processioni della Settimana Santa e gli altari di San Giuseppe. La vigilia della Domenica delle Palme, alla chiesetta della Crucidda, viene eseguito il Credo Regale, un lamento recuperato dopo 35 anni. Il Venerdì Santo è il giorno culminante: a mezzogiorno, dopo la crocifissione, i lamentatori si riuniscono ai piedi della croce per innalzare il loro canto al Cristo crocifisso mentre durante la deposizione di Cristo dalla croce il canto fa da sottofondo al Misericordia gridato dai confratelli, infine si ascolta nelle chiese e lungo la processione de u mulimentu.

Il Centro del Geoparco è un punto di riferimento aperto al pubblico, dove il territorio si racconta attraverso la cultura materiale: luoghi, oggetti e memorie che testimoniano il legame profondo tra le comunità e i paesaggi.

Ecomuseo Branciforti

L’ecomuseo è ospitato nei locali destinati in passato ad un impianto di sollevamento per fornire l’acqua nelle case della parte alta della città e concepito come presidio interpretativo della storia ambientale e culturale di Leonforte e del territorio circostante. Situato in prossimità della monumentale Granfonte e del Giardino delle Ninfe, l’ecomuseo Branciforti sviluppa il progetto Teatro delle acque attraverso l’offerta di due laboratori didattici esperienziali: il laboratorio dell’acqua e quello della ceramica. A partire dal visitor center è possibile intraprendere tre itinerari urbani a piedi o in e-bike alla scoperta del centro storico e del paesaggio collinare dell’entroterra siciliano: il percorso monumentale, dedicato ai principali attrattori storico-artistici; le Vie del principe attraverso i luoghi dei Branciforti; la visita ai geo-siti che comprende l’acquifero del Placcone di Leonforte, la diga Nicoletti, i resti della Pangea primordiale (sill basaltico triassico) di contrada Vignale, Monte Altesina e il fiume Crisa-Dittaino.

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