Il parco occupa una vasta area situata nella confluenza delle strade di collegamento tra Enna, Valguarnera, Aidone e Piazza Armerina in corrispondenza delle due omonime miniere di zolfo, attive fino agli anni Ottanta del secolo scorso (in particolare Floristella nel 1986 è stata l’ultima miniera dismessa in provincia di Enna) e rappresenta uno dei più espressivi insediamenti di archeologia industriale esistenti nel sud d’Italia, restituendo una stratigrafia delle diverse epoche e dei relativi sistemi estrattivi e di fusione dello zolfo a partire dalla fine del Settecento.
Lo zolfo, impregnato in rocce calcaree, veniva separato tramite fusione: data la sua bassa temperatura di scioglimento (circa 113 °C) rispetto al calcare, il riscaldamento del materiale permetteva allo zolfo di scorrere via in forma liquida. Ancora ben visibili e drammaticamente evocativi appaiono calcarelle (forni rudimentali pre-1850), calcaroni (forni circolari per la fusione e separazione dello zolfo dal materiale inerte), i castelletti e gli impianti dei pozzi verticali (utilizzati in epoca recente per la discesa in sotterraneo), i forni Gill (il sistema più moderno per la fusione dello zolfo) ma anche decine di discenderie.
Se la coltivazione dei giacimenti solfiferi ebbe inizio nella Sicilia dell’età del Bronzo, fu solo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo che i minatori iniziarono a scavare delle gallerie che consentivano di raggiungere i filoni più profondi. Gli stessi filoni venivano individuati con la “regola della Mottura”, cioè osservando i cristalli di gesso geminato che all’estremità indicavano la posizione del filone, e lì i picconieri iniziavano scavare stretti e lunghi tunnel in ripida pendenza che del minore tragitto possibile raggiungevano il calcare solfifero da picconare ed estrarre semplicemente con l’uso della forza umana. Nacquero così le discenderie, non di rado munite di scalinate a scaluni ruttu cioè con gradini alternativamente privi della metà destra e sinistra per agevolare l’andatura di carico di chi, con decine di chili di materiale, doveva raggiungere la superficie. Le discenderie sono scavate in strati rocciosi estremamente cedevoli e non di rado prive di qualsiasi armatura. Solo le più moderne, tra le discenderie che si aprono a Floristella, hanno una struttura che protegge la volta con una muratura stabile. Ciononostante, le stesse sono di difficilissima fruizione e la loro instabilità, unita alla pendenza ed alle dimensioni minime, ne ha sconsigliato l’apertura al pubblico. Solo l’avvento della fotografia ha reso possibile immortalare il durissimo permanere dei minatori al loro interno, spesso carusi, seminudi per combattere il caldo soffocante e costretti ad un buio pesto interrotto dalla tremolante fiamma delle lampade a Carburo, le cosiddette citaleni.
Nel parco sono inoltre visibili tre pozzi di estrazione. Dalla seconda metà dell’Ottocento, infatti, soprattutto in quelle miniere dove l’estrazione avveniva a notevole profondità, cominciarono ad essere introdotti i primi piani inclinati con sistemi di carreggio e i pozzi di estrazione completi di castelletti e argano che rappresentarono una significativa evoluzione tecnologica; i primi castelletti erano in legno poi se ne costruirono in muratura ed infine in acciaio. Una tratta ferroviaria interna tra le miniere di Floristella e Grottacalda, che presenta altrettanti opifici, una ciminiera in mattoni ben conservata, pozzi e tecnologie estrattive, era attraversata dai vagoncini per il trasporto del minerale.
Di notevole interesse storico-artistico risultano a loro volta gli edifici del XIX secolo che insistono sul parco, tra questi Palazzo Pennisi che conserva ingegneristici manufatti di captazione delle acque.
Il palazzo, risalente al tardo Ottocento, sorge in cima ad un rilievo a terrazza artificiale sul fianco della valle di Floristella. Consta di due elevazioni e di un vasto piano sotterraneo. All’interno il palazzo conta diversi vani di servizio, gli uffici della direzione della miniera, i garages, allora “carrozzerie”, la carbonaia, i granai, le cantine, una cappella a pianta ottagonale. Il piano superiore è raggiunto da uno scalone monumentale che si apre sulla sala centrale di ingresso, a pianta ottagonale. Tutto il palazzo è servito anche da camminamenti separati e nascosti per la servitù. Il piano terra ospita una mostra fotografica permanente e una ricca collezione di oggetti e attrezzi che testimoniano l’enorme divario sociale tra minatori e i proprietari insieme alla storia e a significativi ritratti del movimento dei Fasci siciliani dei lavoratori.
Di più recente restauro, all’ingresso del parco, l’ex palmento della famiglia Pennisi si collega al palazzo con una lunga e suggestiva scalinata in pietra; si narra, che anticamente ai bordi della scalinata esistesse una canaletta in cotto che, dopo la pigiatura dell’uva, lasciava scivolare il mosto raggiungendo le cantine del dove erano custodite le botti. Attualmente ospita una mostra fotografica sul ciclo del grano come sistema di relazioni simboliche, sociali ed economiche e sulle attività artigianali tradizionali con una riflessione sulle forme del lavoro tra arte popolare ed artigianato artistico.
Il parco esprime anche piacevoli tratti paesaggistici e naturalistici, con specie vegetali e animali adattate ai suoli alterati dalle attività minerarie. Sono presenti zone umide alimentate da acque naturali che emergono dal substrato argilloso poco permeabile, inclusa una sorgente di acque sulfuree che alimenta il Rio Floristella.