Valguarnera Caropepe

Adagiata su una zona collinare degli Erei, affacciata sulla vallata del Dittaino, con un suolo molto fertile ricco di sorgenti e un ridotto territorio comunale, Valguarnera restituisce ancora l’impronta rurale e artigianale che gli ha garantito una certa prosperità lasciando le tracce nei sodalizi, il Circolo Unione e la Società Rurale del centro storico, ancora vissuti come luoghi di aggregazione e socialità, quanto nei palazzetti della notabilità, non di rado di un certo pregio.

Un’immagine oleografica che pare continui a raccontare la città feudale, con la diffusione del sistema del latifondo, la monocoltura estensiva del frumento e il connesso insediamento a masseria che caratterizzerà il paesaggio collinare agricolo della zona. Ambientazioni cittadine e ancestralità contadine, che paiono tratteggiare la scena dei protagonisti dei Mimi del valguarnerese Francesco Lanza, scorrendo in una sorta di almanacco del popolo siciliano di inizio Novecento, in cui i personaggi, identificati solo dal loro luogo d’origine, assumono tratti esemplari e paradigmatici svelando la natura arcaica del mondo rurale siciliano e delle sue tradizioni.

L’origine del paese, anticamente un casale, è remota; i reperti archeologici nelle aree periferiche al centro urbano indicano un’occupazione fin dall’epoca protostorica. Durante il periodo arabo, il casale era conosciuto come Qasr el Habibi, ovvero “il casale del mio amato”, nome che si è poi evoluto in Carupipi, Carrapipi, fino all’attuale italianizzazione in Caropepe.

Nel 1549 i Valguarnera, Conti di Assoro, che avevano già ricevuto in concessione il feudo, chiedono e ottengono dall’imperatore Carlo V la Licentia populandi, in linea con la politica imperiale di aggregazione dei piccoli casali. Inizialmente il centro è progettato con un’organizzazione su assi viari ortogonali, nonostante i dislivelli del terreno, e il cuore pulsante è rappresentato dalla residenza dei conti, un castello, di cui oggi non rimane traccia a causa di successive demolizioni. In seguito, nel 1625 Don Francesco Valguarnera consegue dal re Filippo IV non solo il rinnovo della licenza, ma anche l’elevazione del feudo a principato di Valguarnera.

Il centro conosce allora un significativo impulso demografico destinato in seguito a crescere contestualmente allo sfruttamento sistematico dei giacimenti delle evaporiti, con l’apertura di miniere, la costruzione di forni, discenderie, strade, ferrovie, case per i minatori e palazzi per i padroni. Nell’area di Valguarnera rimangono ancora i resti di una “missione” mineraria dei gesuiti, forse l’unico esempio al mondo di un impegno monastico nello sfruttamento delle ricchezze minerarie. Si apre dunque a partire dal XVIII secolo un’altra complessa pagina della relazione col territorio, che incide in forma ancora in parte leggibile il paesaggio e segna le vicende sociali dei centri abitati.

La Mappa di Comunità racconta il territorio attraverso lo sguardo di chi lo vive: un patrimonio condiviso di memorie, luoghi e saperi che rafforza il legame tra cultura e identità locale.

Geositi

Maccalube

Vulcanelli di fango conosciuti con il nome arabo di maccalube, cioè rigurgito o rivoltamento (maqlub = terra rivoltata) ed anche con il più generico nome di salse o salinelle, che non sono manifestazioni vulcaniche, come potrebbe sembrare, ma analogamente a queste si verificano tramite l’espulsione di materiale fluido e gas che fuoriescono dal sottosuolo, dando luogo a colate di fango fino ad originare un piccolo cono freddo e grigio sormontato da un cratere. Il fenomeno è causato in genere dalle emissioni dal sottosuolo di gas quali metano, in misura prevalente, ma anche anidride carbonica, ossido di carbonio, idrogeno solforato, ossigeno, azoto, elio che sottoposti ad elevata pressione sfuggono attraverso fessure del suolo e nella loro ascesa trascinano argille e sabbie imbibite di acque sotterranee. I gas derivano dalla decomposizione della sostanza organica intercalata nei granelli argillosi e sabbiosi. In altri casi l’espulsione si verifica per la liquefazione dell’argilla a causa della lenta imbibizione delle acque. Le argille rigonfiate dall’acqua assorbita schizzano verso l’alto sfondando lo strato superficiale. Questi fenomeni, diffusi in tutta l’area del bacino gessoso solfifero siciliano e particolarmente nell’area di Aragona, sono legati a cicli dai periodi ancora non ben identificati, con momenti di vero e proprio parossismo fino a momenti di scomparsa (ad esempio sono scomparse le salse di Villarosa). Oggi all’interno del parco minerario di Floristella il fenomeno si manifesta in modo costante con maggiore evidenza a ridosso di periodi piovosi e conta diverse strutture di emissione da cui le acque risalgono in superficie con un leggero gorgoglio e poi, colorate degli ossidi, iniziano la loro discesa lungo i rigagnoli che si dipartono a raggera “dall’occhio” (in siciliano ucchiu è appunto il luogo di emissione delle acque).

Gessi di Floristella

L’evidenza maggiore del Messiniano, in tutta l’area del Geopark, è data dall’emergere di grandi colline costituite interamente da strati di gesso. Esso si presenta in diverse forme, sia in gessareniti di colore cangiante dal bianco al grigio fumo, sia in gesso balatino e selenico. Il gesso selenico, o pietra della Luna, è costituito da lastre così trasparenti da essere state utilizzate come vetri. In molti casi gli strati di cristallo presentano una forma geminata. I gessi a cristallizzazione germinata attrassero, non solo per la loro forma, l’attenzione dei geologi. Nel XIX secolo Sebastiano Mottura formulò una regola che ancora oggi porta il suo nome e che viene utilizzata dai periti minerari a caccia dei depositi di zolfo. Egli comprese che la punta del cristallo, della “lancia”, si dirige sempre verso lo strato che contiene lo zolfo e che sta tra il calcare di base il gesso. Se la punta è diretta perpendicolarmente, lo zolfo giace sotto lo strato, altrimenti dimostra di avere subito dislocazioni dovuti a fenomeni tettonici. A questa regola empirica, si conosce una sola eccezione in Spagna. A Floristella, tagliata dalla ferrovia, emerge una spettacolare sequenza di strati di gesso germinato.

Patrimonio archeologico

Parco minerario Floristella-Grottacalda

Il parco occupa una vasta area situata nella confluenza delle strade di collegamento tra Enna, Valguarnera, Aidone e Piazza Armerina in corrispondenza delle due omonime miniere di zolfo, attive fino agli anni Ottanta del secolo scorso (in particolare Floristella nel 1986 è stata l’ultima miniera dismessa in provincia di Enna) e rappresenta uno dei più espressivi insediamenti di archeologia industriale esistenti nel sud d’Italia, restituendo una stratigrafia delle diverse epoche e dei relativi sistemi estrattivi e di fusione dello zolfo a partire dalla fine del Settecento.
Lo zolfo, impregnato in rocce calcaree, veniva separato tramite fusione: data la sua bassa temperatura di scioglimento (circa 113 °C) rispetto al calcare, il riscaldamento del materiale permetteva allo zolfo di scorrere via in forma liquida. Ancora ben visibili e drammaticamente evocativi appaiono calcarelle (forni rudimentali pre-1850), calcaroni (forni circolari per la fusione e separazione dello zolfo dal materiale inerte), i castelletti e gli impianti dei pozzi verticali (utilizzati in epoca recente per la discesa in sotterraneo), i forni Gill (il sistema più moderno per la fusione dello zolfo) ma anche decine di discenderie.
Se la coltivazione dei giacimenti solfiferi ebbe inizio nella Sicilia dell’età del Bronzo, fu solo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo che i minatori iniziarono a scavare delle gallerie che consentivano di raggiungere i filoni più profondi. Gli stessi filoni venivano individuati con la “regola della Mottura”, cioè osservando i cristalli di gesso geminato che all’estremità indicavano la posizione del filone, e lì i picconieri iniziavano scavare stretti e lunghi tunnel in ripida pendenza che del minore tragitto possibile raggiungevano il calcare solfifero da picconare ed estrarre semplicemente con l’uso della forza umana. Nacquero così le discenderie, non di rado munite di scalinate a scaluni ruttu cioè con gradini alternativamente privi della metà destra e sinistra per agevolare l’andatura di carico di chi, con decine di chili di materiale, doveva raggiungere la superficie. Le discenderie sono scavate in strati rocciosi estremamente cedevoli e non di rado prive di qualsiasi armatura. Solo le più moderne, tra le discenderie che si aprono a Floristella, hanno una struttura che protegge la volta con una muratura stabile. Ciononostante, le stesse sono di difficilissima fruizione e la loro instabilità, unita alla pendenza ed alle dimensioni minime, ne ha sconsigliato l’apertura al pubblico. Solo l’avvento della fotografia ha reso possibile immortalare il durissimo permanere dei minatori al loro interno, spesso carusi, seminudi per combattere il caldo soffocante e costretti ad un buio pesto interrotto dalla tremolante fiamma delle lampade a Carburo, le cosiddette citaleni.
Nel parco sono inoltre visibili tre pozzi di estrazione. Dalla seconda metà dell’Ottocento, infatti, soprattutto in quelle miniere dove l’estrazione avveniva a notevole profondità, cominciarono ad essere introdotti i primi piani inclinati con sistemi di carreggio e i pozzi di estrazione completi di castelletti e argano che rappresentarono una significativa evoluzione tecnologica; i primi castelletti erano in legno poi se ne costruirono in muratura ed infine in acciaio. Una tratta ferroviaria interna tra le miniere di Floristella e Grottacalda, che presenta altrettanti opifici, una ciminiera in mattoni ben conservata, pozzi e tecnologie estrattive, era attraversata dai vagoncini per il trasporto del minerale.
Di notevole interesse storico-artistico risultano a loro volta gli edifici del XIX secolo che insistono sul parco, tra questi Palazzo Pennisi che conserva ingegneristici manufatti di captazione delle acque.
Il palazzo, risalente al tardo Ottocento, sorge in cima ad un rilievo a terrazza artificiale sul fianco della valle di Floristella. Consta di due elevazioni e di un vasto piano sotterraneo. All’interno il palazzo conta diversi vani di servizio, gli uffici della direzione della miniera, i garages, allora “carrozzerie”, la carbonaia, i granai, le cantine, una cappella a pianta ottagonale. Il piano superiore è raggiunto da uno scalone monumentale che si apre sulla sala centrale di ingresso, a pianta ottagonale. Tutto il palazzo è servito anche da camminamenti separati e nascosti per la servitù. Il piano terra ospita una mostra fotografica permanente e una ricca collezione di oggetti e attrezzi che testimoniano l’enorme divario sociale tra minatori e i proprietari insieme alla storia e a significativi ritratti del movimento dei Fasci siciliani dei lavoratori.
Di più recente restauro, all’ingresso del parco, l’ex palmento della famiglia Pennisi si collega al palazzo con una lunga e suggestiva scalinata in pietra; si narra, che anticamente ai bordi della scalinata esistesse una canaletta in cotto che, dopo la pigiatura dell’uva, lasciava scivolare il mosto raggiungendo le cantine del dove erano custodite le botti. Attualmente ospita una mostra fotografica sul ciclo del grano come sistema di relazioni simboliche, sociali ed economiche e sulle attività artigianali tradizionali con una riflessione sulle forme del lavoro tra arte popolare ed artigianato artistico.
Il parco esprime anche piacevoli tratti paesaggistici e naturalistici, con specie vegetali e animali adattate ai suoli alterati dalle attività minerarie. Sono presenti zone umide alimentate da acque naturali che emergono dal substrato argilloso poco permeabile, inclusa una sorgente di acque sulfuree che alimenta il Rio Floristella.

Musei

Casa museo Caripa

La Casa Museo Caripa è un luogo dedicato alla conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio culturale materiale e immateriale attraverso duecento anni di storia locale di Valguarnera. Situata in una torre di controllo a difesa della vicina Porta di Piazza, uno degli accessi principali alla città, la casa viene abitata sin dai primi anni dell’Ottocento da una famiglia borghese che vi trascorre gran parte della propria esistenza. Nel corso del tempo, l’edificio oltre ad essere una residenza privata diventa progressivamente un deposito di memoria storica. Da qui la decisione da parte di una famiglia valguarnerese di acquisirlo e renderlo pubblico nel 2014, mantenendo le condizioni originali, senza alterarne l’autenticità. Al suo interno si trovano oggetti, documenti, riviste e testimonianze che raccontano secoli di vita quotidiana, tradizioni artigianali, eventi significativi e aspetti della cultura locale che hanno contraddistinto la comunità di Valguarnera.

Prodotti e saperi della terra

Pagnuccata, pasta cu meli

Dolci poveri frequenti nelle Tavolate di San Giuseppe, il primo preparato con farina, uova, strutto, scorza di limone e miele, l’altro con pasta capelli d’angelo, miele e pangrattato.

Feste e tradizioni

Altari di San Giuseppe

Espressione di devozione e comunanza, motivazioni caritatevoli ed esigenze redistributive ma anche sopravvivenza di una ricerca di connessione col ciclo della produzione e di una richiesta di protezione e abbondanza, i ricchi altari imbanditi il 19 marzo in onore del santo esplicitano il valore simbolico e sociale del cibo. I pani artigianali sono il riferimento centrale e assumono forme artistiche ma principalmente allegoriche (ad esempio rappresentano gli attrezzi del falegname, come seghe, scale o tenaglie, con il richiamo a San Giuseppe o il bastone simbolo di saggezza e maestranza). Destinati ciascuno ad un santo, i picciddati invece riproducono ghirlande di fiori. Compaiono simboli cattolici come l’ostensorio, il pesce, la treccia di Maria, l’uva e riferimenti alla Trinità, ma anche le arance, un tempo unico frutto profumato e di stagione, aperte al momento del pasto rituale come gesto concreto di condivisione del cibo. La lunga preparazione, che può richiedere fino ad una dozzina di giorni e un’ampia collaborazione, continua anche nell’attualità a rinsaldare il legame sociale.

Pagliolo di Santa Lucia

Alla vigilia della festa, la sera del 12 dicembre, il pagliolo preparato con arbusti di paglia assemblati col fil di ferro, dal diametro di circa un metro e l’altezza di cinque, viene acceso in cima e portato per le vie del paese (a strata e’Sant) lungo le quali i devoti allestiscono i burgi, diventati oggi sempre meno frequenti, ovvero dei grossi falò per il suo passaggio, seguito dal quadro della santa e dalla banda musicale. Durante i giorni della festa si benedicono e condividono i panucci e si prepara la cuccìa, tipico piatto a base di frumento bollito e condito, cibi che rinviano al medesimo simbolismo ctonio.

Corpus Domini e Sir'rù Signur

Per nove sere, dette Sir’ rù Signur, il SS. Sacramento in un ricco baldacchino ricamato in oro viene portato in processione per le vie del paese, lungo le quali vengono allestiti l’Autara. Sono giorni di convivialità e aggregazione tra i diversi quartieri impegnati nella realizzazione degli altari e al termine della processione ci si riunisce per condividere piatti tradizionali della cucina contadina, come fave e ceci, insieme a dolci condivisi da chi ha contribuito alla preparazione.

Kore Siciliae

Produzioni artigianali

Il Centro del Geoparco è un punto di riferimento aperto al pubblico, dove il territorio si racconta attraverso la cultura materiale: luoghi, oggetti e memorie che testimoniano il legame profondo tra le comunità e i paesaggi.

Museo Etno Antropologico e dell’Emigrazione Valguarnerese

Presso palazzo Prato, l’associazione assegnataria Valguarneresi nel mondo, punto di riferimento per ricerche locali di archivio sull’emigrazione tra il XIX e il XX secolo, si propone di recuperare, conservare e musealizzare gli oggetti che hanno fatto parte della comune storia e della vita quotidiana di intere generazioni, segnate spesso da precarietà esistenziale ma sempre profondamente dignitose, che reclamano la giusta memoria. Gli attrezzi e gli oggetti del lavoro nei campi, nelle miniere, nella vita domestica, l’emigrazione, per tutto quello che rappresentano dal punto di vista culturale, di appartenenza “all’uomo”, all’interno dello spazio museale e nelle attività di animazioni sono collezionati e trasmessi nel loro autentico significato, non come meri oggetti ma come espressioni di un peculiare sistema di valori.

https://museopalazzoprato.jimdofree.com/

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