Allo stesso modo la fertilità del territorio circostante ha sollecitato la fondazione del feudo nel 1761 per volontà del Duca Placido Notarbartolo, sul sito del casale di San Giacomo di Bambinetto, distrutto dal terremoto del 1693. La crescita di Villarosa è stata dunque inizialmente guidata dalla necessità di coltivare le vaste proprietà terriere dei Notarbartolo.
Solo in seguito la sua espansione sarà condizionata dalla richiesta di manodopera per le numerose miniere di zolfo, che si moltiplicano nei dintorni. La pianificazione urbanistica del nuovo centro abitato si basa sul modello del castrum romano, con l’incrocio delle arterie principali ispirato alle due grandi direttrici della Palermo seicentesca, ed è ideata da una donna, la pittrice nissena Rosa Ciotti, in omaggio alla quale probabilmente il centro assume il toponimo di Villarosa. Per il resto l’aspetto del paese resta quello tipico di un centro agricolo dell’entroterra siciliano, dominato dalla Chiesa Madre con le abitazioni disposte a riflettere le differenze sociali: le case più vicine ai due assi principali occupate dalla borghesia e le aree marginali destinate ai ceti popolari.
L’apertura della miniera Garciulla nel 1827 segna l’inizio della storia documentata dell’industria dello zolfo a Villarosa e la trasformazione in centro minerario, oltre alla Miniera Respica-Pagliarello, Gaspa La Torre-Villapriolo, Miniera Agnalleria e Santo Padre: le zolfare modificano profondamente il paesaggio – mentre scavano nell’assetto sociale e segnano l’infanzia dei carusi sfruttati nello sforzo estrattivo – con i calcheroni (forni a cielo aperto per la fusione dello zolfo) e successivamente i forni Gill che lasciano cicatrici nel terreno, visibili ancora oggi come depressioni o accumuli di scorie rossastre. Il trasporto del minerale grezzo e dello zolfo fuso richiede la costruzione di infrastrutture come ferrovie a scartamento ridotto: nei primi del Novecento è realizzata dagli inglesi una ferrovia mineraria, la Sikelia, per trasportare lo zolfo verso gli scali di Licata mare, Porto Empedocle e Catania Centrale. La tratta partiva dalla miniera Respica Pagliarello, attraversava l’attuale invaso Morello, per arrivare infine alla stazione di Villarosa. Quello stesso luogo, negli anni Sessanta, diventa il punto di partenza di migliaia di emigranti di Villarosa e non solo, verso il nord Italia, Belgio, Francia e Germania.
Negli anni Settanta il paese cambia profondamente con lo sbarramento del fiume Morello e la successiva creazione della Diga Ferrara, costruita tra il 1969 ed il 1972 dall’Ente Minerario Siciliano per uso industriale. Le acque venivano, infatti, destinate al lavaggio e alla lavorazione dei sali potassici coltivati nella miniera di Pasquasia, inattiva dal 1995. Il lago è stato dunque costruito per sostenere l’attività della miniera di Pasquasia e, successivamente, le sue acque sono state utilizzate per l’irrigazione. La costruzione del lago ha cancellato le tracce della ferrovia mineraria Sikelia che attraversava l’area. Attualmente l’area del lago Morello è inserita in un’oasi naturalistica di notevole interesse faunistico.
Oggi, le miniere di zolfo di Villarosa sono interamente dismesse, tuttavia l’eredità geologica sopravvive nel paesaggio modellato dalle colline argillose, nelle gole scavate da torrenti con acque salmastre a causa dei depositi evaporitici e le sopravvivenze delle infrastrutture minerarie restano come tracce di quel recente passato, strumenti per comprendere il paesaggio, le tradizioni e l’identità profonda di Villarosa. L’apertura e la chiusura delle miniere hanno scandito i ritmi demografici ed economici del Comune, lasciando una complessa eredità di storie di fatica e lontananza.
